ECCESSO DI LUCE

E CESSI LA LUCE! E che finisca questa forma tirannica del λόγος e ci restituisca alla frenesia orgiastica del Buio luminoso quale conobbero i nostri progenitori! Che la penombra di Altamira e Lascaux possa finalmente calare sulle nostre vite ordinate e rassicuranti.


A lungo, le donne e gli uomini, hanno legato l’IDEA di luce alla visione trascendente e mitica del cielo riscaldato dalla presenza del sole, della luna, delle stelle o del fuoco. Eppure, in un’epoca così priva di ‘comfort’ come il Medioevo, la giornata lavorativa era più breve, vincolata dalla luce su cui incombevano le tenebre già nel pomeriggio. Poi, i Lumi settecenteschi, invocarono una luce capace di sottrarre l’uomo allo “stato di minorità” tipico dell’ancien regime e la luce, allora, assunse un valore positivo. Dopo quasi un secolo, inevitabilmente, giunse la luce elettrica. La belle époque scoprì che i suoi boulevards, i suoi caffè, l’Esposizione Universale della Ville Lumiére sarebbero divenuti immortali e memorabili sotto il riflesso di lampade a filamento incandescente. E ancora, a fine 800, nel buio del Salon indien du Grand Café di Boulevard des Capucines, i fratelli Lumiére (in italiano, “luce”) intrattennero, con uno spettacolo di luci e ombre, un pubblico ancora ignaro del futuro sviluppo della settima arte.
Ma oggi che esperienza abbiamo della luce? Qual è la luce a cui pensiamo e di cui non possiamo fare a meno? L’occhio di Alex, allargato dai dilatatori in Arancia meccanica, è l’allegoria di questo tempo in cui non scegliamo di Vedere, ma la vista è sottoposta a una pressione ottica ed estetica. Un tempo in cui l’atto del Vedere e del Guardare non significano Scegliere e Pensare, in cui le proiezioni scompaginano la grammatica della focalizzazione e l’individuo esiste in quanto oggetto illuminato da una Luce sinistra, una Luce il cui accesso all’interruttore viene negato.
E’ l’arroganza consumistica a fissare immagini, freeze frames induttori di bisogni indotti nella retina dell’individuo contemporaneo che, reso inerte, diviene consumatore/consumato dal bisogno. Può questo post-individuo pensare a una luce che non sia quella artificiale, quella concepita perché egli non pensi, ma desideri? Il “secolo breve” ha dimostrato quanto il possesso e l’erogazione della luce siano indicatori di sperequazione. La bulimia di immagini e la saturazione della vista, per effetto di fonti luminose, descrivono la condizione umana di sovraesposizione multipla. Come sottovalutare che, tra le torture cui sono sottoposti i prigionieri arancioni di Guantanamo, è prevista la privazione del sonno attraverso l’utilizzo della luce nelle ore notturne?
Nel dogma dell’illuminazione permanente, è il ‘post-individuo’ ad essere osservato, è la sua psiche ad essere manipolata sotto la luce cruenta di una sala operatoria in cui viene praticata la dissezione del suo sistema neurologico. Ogni parte del suo corpo, percorsa dalla pianificazione delle emozioni, viene programmata alla reazione verso ‘input’ strategici. Nei non-luoghi (centri commerciali, stazioni, aeroporti ecc.) l’illuminazione assume una connotazione opprimente, capace di tracciare i confini di classe. All’osservazione, rimossa in quanto attività potentemente creativa, subentra la proiezione di una Luce artificiale che parla un linguaggio fatto di promesse, suggestioni e illusioni. L’oggetto illuminato veicola la collocazione in una dimensione di realtà che simula la promozione del ‘post-individuo’ in soggetto. L’eccesso di luce aggredisce le brutture dell’habitat del ‘post-individuo’: da una parte, si staglia l’egemonia di coloro che conducono il gioco (erogando luce/i, selezionando i fruitori e i frammenti da illuminare); dall’altra, lo spazio di coloro che fruiscono passivamente di una visione non scelta, ma che si candida a controllare le loro vite, a modellarle sulla base delle scelte effettuate dagli Erogatori della Luce.
Come denunciare questa schizofrenia ottica complice del disagio, del malessere e dell’involgarimento collettivo? Come rappresentare il lutto dell’immaginazione sovrastata dall’illuminazione? Come sublimare la frustrazione per l’eccesso di luce? Come sottrarsi all’orgia inconsapevole di luce che un potente “W.C.” scarica nelle nostre vite sotto forma di oggetti, beni di consumo mai consumati, finti personaggi, eventi o pseudo eventi, fuochi fatui pirotecnici, spot pubblicitari, notiziari e format televisivi?
Dunque: organizziamo il controllo degli interruttori comprendendo la differenza tra destinatari passivi ed emittenti attivi. Non rassegniamoci mai all’isolamento esistenziale e alla solitudine resi glamour dalla potenza della messa in scena dei riflettori mediatici. Condividiamo la deflagrazione della nostra vitalità. La Luce è vera e bella solo quando noi splendiamo.

Claudia Placanica 

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